ELIO ARMANO :

"Disegni di Miniera.
Il Veneto in memoria di una tragedia del lavoro
".

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"La mine en dessins.
La Vénétie: à la mémoire d'une tragédie du travail
".

"MARCINELLE - 1956/2006"

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Traduzioni di: Emanuela De Toffol

ITALIANO
 
FRANÇAIS
Disegni di miniera: miniera di disegni   Témoignage
Ogni qualvolta m'imbatto nel concetto distorto di "identità veneta", mi si parano davanti quasi automaticamente le figure di Tono Zancanaro e di Augusto Murer che, a pochi giorni l'uno dall'altro, ci lasciarono ormai venti anni fa, rendendo più vuoto quel paesaggio culturale veneto che tanto ha dato e da' al paese, senza mai confondersi a quelle maniere caricaturali e vernacolari a cui rozzezza e bassa politica vorrebbero strumentalmente e ridicolmente condurci. Come insieme se ne andarono, tanti anni prima insieme ebbi la fortuna di conoscerli, quando da ragazzo Forno di Canale e la Valle del Biois erano il mio "luogo dell'anima" che si impastava alle primissime letture importanti e a quelle che sarebbero diventate le mie scelte culturali e politiche. Grazie a Tono vidi e conobbi Augusto, conoscenza che poi coltivai in modo intermittente fino alle lunghe frequentazioni dello studio dei Molini, dove, da ospite sempre generosamente accolto, lavoravo alle mie cose a fianco suo e del figlio Franco che mi impegnavano in interminabili conversazioni. E che continuavano, poi, a pranzo e a cena e nelle lunghe scarrozzate che ci portavano a ritoccare cere nelle fonderie di Verona e di Vicenza o nella bottega litografa di Giuliano Busato. Ho avuto così la fortuna, oltre che di veder nascere tanti pezzi di Augusto, di conoscerne il carattere e il pensiero e, soprattutto, di godere della sua amicizia nonostante le differenze di età e di preferenze artistiche: lui il realismo, io le "cervellotiche" avanguardie. Messe queste credenziali sul tavolo, parlando di Augusto continuo ancor oggi a rimanere convinto della necessità di inquadrare e approfondire di più il suo lavoro, di storicizzarlo meglio e, nello stesso tempo, anche se ciò può sembrare contraddittorio di separarlo dagli "ismi" e dalle frequentazioni delle sue stagioni artistiche: se egli fu, come fu, a lungo e con coerenza quello che si diceva un artista "impegnato", da quell'impegno seppe molte volte separare la retorica e il patente propagandismo dei quali spesso si sente la fastidiosa ingerenza e la strumentalità nei lavori di molti osannati maestri degli anni della sua formazione.
Lungi dal riprodurre il logoro ed errato clichè dell' "uomo delle montagne", ho sempre trovato in Augusto il vaccino del pudore e persino della diffidenza verso gli eccessi dell'appartenenza politica maritati al fare artistico. "Stare fuori" dai giri nazionali, non frequentare quotidianamente, salvo l'enfasi delle inaugurazioni, il mondo dei grandi centri dove ogni gesto si faceva bandiera, ha preservato Augusto dalle cieche militanze e ha consentito che ascoltasse la sua indole più vera e quel rispetto dei materiali, che "viene meglio" quando non ci si affanna a dover dimostrare o confutare tesi su tesi. Nell'arte italiana del dopoguerra, dove partigiani, proletari e bandiere rosse sostituirono i monumenti e le iconografie dei legionari fascisti, dell'Impero e delle corporazioni, Murer ha impollinato la crescita di un suo linguaggio guardando davvero, mi si consenta il gioco di parole, al "vero".
Lo dimostrano i tanti legni dei suoi primi anni, in particolare le figure al sole che non ritraggono modelli da accademia ma corpi di giovani sui torrenti di montagna; lo dimostrano i cicli dedicati al sacro e, non da ultimo, la mole immensa dei disegni. Disegni "di esercizio", "ginnastica" della mano e della mente, disegni destinati non alla vendita ma al lavoro, alla continua appropriazione della forma, delle posture dei soggetti, degli innumerevoli angoli visuali. Mostrare, ri-mostrare i disegni di miniera è dunque uno dei nuovi passaggi per rileggere e ricollocare Murer, per setacciarne i meriti separandolo sia dal realismo manifestamente impegnato politicamente dei primi anni, sia dalle fortune del fiabesco e del mitologico della sua ultima produzione. Setaccio e separazione non tesi a istituire gerarchie tra l'una e l'altra cosa, operazione assurda e impossibile, ma strumenti per un lavoro di smontaggio e individuazione degli stilemi che poi troveremo sempre presenti sia nell'opera grafica sia nella scultura. Sgombrato il campo da un Murer sic et simpliciter riconducibile a chi, prima che artista, sentiva il dovere di dichiararsi comunista o socialista, altrettanto sbagliato sarebbe mettere Murer fuori dalla storia. Lui disegna e scolpisce dopo aver fatto la Resistenza là dove è stata tra le più crude, attende alle sue cose nei primi anni di quella Repubblica, orgogliosamente "fondata sul lavoro", anni di grandi lotte operaie e contadine dove brillano grandi organizzazioni come la C.G.I.L. di Di Vittorio, che sono qualcosa di più che semplici organizzazioni sindacali e di categoria.
Che il lavoro sia un tema centrale per Murer, che dei lavori più umili della sua terra e di emigranti si occuperà anche dopo, è dunque cosa tra le più naturali, com'è naturale che tra i lavoratori per antonomasia, in quella erroneamente ritenuta periferia italiana che è il bellunese, dove di operai di fabbrica ce n'erano pochi, i minatori siano oggetto della sua ricerca. Meno "naturale" e per niente ovvio è, invece, scoprire come in un mondo allora chiuso, povero di cibo, di strade e di informazione, le miniere e i minatori della Val Imperina, lungi dal somigliare all'iconografia del realismo parasovietico, sono invece strettamente imparentati ai sotterranei dell'Inghilterra bombardata dai nazisti e rappresentata da Henry Moore e da Sutherland. E' come se il giovane Murer, calandosi nei pozzi, percorrendo caverne, anfratti e cunicoli dove lavorano gli uomini scuri dalla lampada in fronte che, come nell'Agordino, scavano sotto il Belgio, la Germania, la Svizzera e la Francia, si mettesse in sintonia con un pezzo enorme della figurazione europea. Una sintonia accentuata dal tratto forte, senza alcuna concessione manieristica, dove il supporto povero della carta scura e il carboncino diventano un'unica materia del disegno come nei Mangiatori di patate di Van Gogh fino a Permeke e ai due inglesi già citati.
Questi disegni di Murer, come il Gibbo per Tono Zancanaro, sono dunque pagine di riflessione europea uscite dall'autarchia fascista e dal provincialismo in cui sono confinati i suoi oppositori. I disegni di miniera di Murer sono essi stessi "miniera"; lo sono per noi che li vediamo oggi, ma lo sono stati per i successivi sviluppi lavorativi dell'autore. Sono disegni come pozzi dai quali attingere: lo spettatore vi attinge emozioni e informazioni sulla condizione umana costretta ad uno dei lavori più drammatici; Murer vi attinge per sé, sia in quegli anni sia dopo. Disegnando egli assimila, digerisce, cresce come grande metabolizzatore grafico. Anche tanti anni dopo parlando con lui di tutto ciò, capivo come egli, estraneo agli astratti, non fosse estraneo alla loro matericità, avesse comprese e usate certe loro zumate espressionististiche. Ora, a vent'anni dalla sua morte, quei disegni fortunatamente non dispersi sono di nuovo o per la prima volta tra noi. Quanti saranno a vederli nei locali dell'ex centro minerario della Val Imperina? Per quanto numeroso potrà essere il pubblico di questa mostra, sarà comunque insufficiente a veicolare un messaggio e un'esperienza che restano attualissimi.

7 giugno 2005

ELIO ARMANO

 

Chaque fois que je tombe sur le concept déformé d'"identité vénitienne", presque automatiquement les figures de Tono Zancanaro et Augusto Murer s'offrent à ma vue. En quelques jours, ils nous quittèrent l'un après l'autre, en laissant un vide dans ce payasage culturel vénitien qui a tellement donné et qui donne encore à notre pays. Le tout sans céder à ces manières caricaturales et vernaculaires auxquelles la grossièreté et la politique de bas profil voudraient nous plier en nous manipulant de façon ridicule. Ils s'en sont allés ensemble, et de la même façon ai-je eu la chance de les connaître de nombreuses années avant leur mort. J'étais alors un jeune visiteur assidu de Forno di Canale ainsi que de toute la Val del Biois. C'étaient mon "endroit de l'âme" qui se mélangeait aux premières lectures importantes et à celles qui seraient devenues mes idéaux politiques et culturels. Grâce à Tono je rencontrai et fit la connaissance d'Augusto, une amitié que je cultivai de façon discontinue jusqu'aux longues fréquentations dans l'atelier des Molini, où, en tant qu'invité toujours bien accueilli, je travaillais à mes oeuvres à ses côtés ainsi qu'aux côtés de son fils Franco. Tous les deux m'entraînaient dans des conversations interminables qui continuaient, une fois notre travail achevé, pendant le déjeuner et le dîner ainsi que lors des longues courses en voiture vers les fonderies de Vérone et de Vicence où nous avions l'habitude de retoucher la cire à modeler ; ou encore dans l'atelier lithographique de Giuliano Busato. J'ai eu ainsi le privilège, non seulement d'assister à la naissance de nombreuses oeuvres d'Augusto, mais aussi de connaître son caractère et ses idées et surtout de jouir de son amitié malgré notre différence d'âge et nos différences concernant nos préférences artistiques: pour lui, le réalisme, pour moi les avant-gardes "fantasques". Après ces avant-propos, en parlant d'Augusto je continue encore aujourd'hui à être convaincu de la nécessité de situer et approfondir davantage son art, de mieux l'interpréter historiquement et en même temps, même si cela peut sembler contradictoire, de le séparer de ses "isthmes" et des fréquentations de ses saisons artistiques. S'il fut, et on en a les preuves, longuement et avec cohérence ce que l'on appelait un artiste "engagé", il a su très souvent séparer la rhétorique et le propagandisme manifeste de cet engagement, dont on sent l'ennuyeuse ingérence ayant comme but d'instrumentaliser les oeuvres de nombreux maîtres acclamés pendant les années de sa formation. Bien loin de reproduire le cliché tant usé et faux d'"homme de la montagne", j'ai toujours trouvé en Augusto la pudeur et même la méfiance à l'égard des excès de l'appartenance politique unis à la production artistique. "Ne pas se mêler" au milieu national, ne pas fréquenter, sauf lors des vernissages, le monde des grands centres, où chaque geste signifiait se ranger sous la bannière de quelqu'un, a préservé Augusto du militantisme aveugle et lui a permis de suivre sa vraie nature et de respecter les matériaux qui donnent des résultats meilleurs lorsqu'on ne s'acharne pas à devoir démontrer ou réfuter une thèse après l'autre. Dans l'art italien de l'après-guerre, où partisans, prolétaires et drapeaux rouges remplaçaient les monuments et les iconographies des légionnaires fascistes, de l'Empire et des corporations, Murer a développé un propre langage en se concentrant vraiment, permettez-moi le jeu de mot sur le "vrai". Les bois sculptés pendant les premières années le démontrent clairement, surtout les silhouettes au soleil qui ne représentent pas des modèles d'académie mais des corps de jeunes au bord des torrents de montagne. Une autre preuve sont les cycles dédiés à l'art religieux et, non pas en dernier lieu, une grande quantité de dessins. Il s'agit d'"exercices", de "gymnastique" manuelle et mentale, en d'autres mots de dessins destinés non pas à la vente mais au travail, à une appropriation continue de la forme, des positions des sujets et des innombrables angles visuels. Donc, montrer, remontrer les dessins des minières est un des nouveaux passages pour relire et remettre en place Murer, pour en peser les mérites en le séparant soit du réalisme qui est manifestement engagé dans la politique, soit du succès de la production féerique et mythologique de ses dernières années. Cette analyse et division n'ont pas comme but d'établir une hiérarchie entre l'une et l'autre car ce serait une opération absurde et impossible, mais il s'agit d'instruments pour un travail de démontage et de repérage des styles particuliers de Murer que nous trouverons ensuite toujours présents dans ses oeuvres graphiques ou dans ses sculptures. Après avoir chassé de l'esprit l'idée d'un Murer sic et simpliciter, une idée qui, par ailleurs, est liée à qui, avant l'artiste, sentait le devoir de se déclarer communiste ou socialiste, il serait d'autant plus erroné de placer Murer en dehors de l'histoire. Il dessine et sculpte après avoir mené la Résistance là où elle a été parmi les plus dures. Il s'occupe de son art pendant les premières années d'une République "fondée sur le travail" avec fierté, des années de grandes luttes ouvrières et paysannes où de grands syndicats comme la CGIL de Di Vittorio brillèrent. Il s'agissait de quelque chose de plus par rapport aux simple organisations syndicales et de catégorie. Il est donc naturel, que le travail ait été un thème central pour Murer, qui s'occupera des travaux les plus modestes de sa terre et d'émigrants aussi plus tard. Il est aussi naturel que parmi les travailleurs par antonomase, dans cette province de Belluno, qui a été considérée par erreur une banlieue italienne et où il y avait peu d'ouvriers d'usine, les mineurs aient été l'objet de sa recherche. Au contraire, il est moins "naturel" et pas du tout évident de découvrir que dans un monde jadis clos, privé de nourriture, pauvre en routes et informations, les minières et les mineurs de la Val Imperina, bien loin de ressembler aux iconographies du réalisme para soviétiques, soient strictement liés aux souterrains de l'Angleterre bombardée par les nazis et représentée par Henry Moore et Sutherland. C'est comme si le jeune Murer, en descendant dans les puits, en parcourant les cavernes, ravins et voies de carrières où travaillent les hommes noirs avec leur lampe placée sur le front qui, comme dans l'Agordino, creusent sous la Belgique, l'Allemagne, la Suisse et la France, se mettait en contact avec une partie énorme de la figuration européenne. Donc, une syntonie accentuée aux traits durs, sans aucune concession propre du maniérisme, où le support pauvre constitué par du papier foncé et un fusain deviennent une seule matière du dessin comme dans les Mangeurs de pommes de terre de Van Gogh jusqu'à Permeke et aux deux Anglais que nous avons mentionnés naguère.
Ces dessins de Murer, ainsi que le Gibbo pour Tono Zancanaro, sont donc des pages de réflexions européennes issues de l'autarcie fasciste et du provincialisme dans lesquels ses opposants ont été relégués. Les dessins des minières de Murer sont eux-mêmes une "minière" ; ils le sont pour nous qui les voyons aujourd'hui, mais ils l'ont été pour la phase créative et productive suivante de l'auteur. Il s'agit de dessins à partir desquelles le spectateur puise des émotions et des informations sur la condition humaine contrainte à un des travaux les plus durs; Murer y puise pour soi, soit en ce temps-là soit pendant les années qui suivirent. En dessinant il assimile, digère, croît en tant que grand transformateur graphique. Même après de nombreuses années en parlant avec lui de tout cela, je compris la mesure dans laquelle, même s'il était étranger aux oeuvres abstraites, il n'était néanmoins pas étranger à leur matièricité et en plus il avait compris et utilisé quelques-unes de leurs prises de vue expressionnistes.
Maintenant, à vingt ans de sa mort, ces dessins qui heureusement n'ont pas été égarés sont à nouveau ou pour la première fois parmi nous. Combien de personnes y aura-t-il dans les locaux de l'ancien centre minier de la Val Imperina pour les admirer ? Quelque soit le nombre de visitateurs de cette exposition, il sera toutefois insuffisant à transmettre un message et une expérience qui restent très actuels.

ELIO ARMANO