Ogni
qualvolta m'imbatto nel concetto distorto di "identità
veneta", mi si parano davanti quasi automaticamente le figure
di Tono Zancanaro e di Augusto Murer che, a pochi giorni l'uno dall'altro,
ci lasciarono ormai venti anni fa, rendendo più vuoto quel
paesaggio culturale veneto che tanto ha dato e da' al paese, senza
mai confondersi a quelle maniere caricaturali e vernacolari a cui
rozzezza e bassa politica vorrebbero strumentalmente e ridicolmente
condurci. Come insieme se ne andarono, tanti anni prima insieme
ebbi la fortuna di conoscerli, quando da ragazzo Forno di Canale
e la Valle del Biois erano il mio "luogo dell'anima" che
si impastava alle primissime letture importanti e a quelle che sarebbero
diventate le mie scelte culturali e politiche. Grazie a Tono vidi
e conobbi Augusto, conoscenza che poi coltivai in modo intermittente
fino alle lunghe frequentazioni dello studio dei Molini, dove, da
ospite sempre generosamente accolto, lavoravo alle mie cose a fianco
suo e del figlio Franco che mi impegnavano in interminabili conversazioni.
E che continuavano, poi, a pranzo e a cena e nelle lunghe scarrozzate
che ci portavano a ritoccare cere nelle fonderie di Verona e di
Vicenza o nella bottega litografa di Giuliano Busato. Ho avuto così
la fortuna, oltre che di veder nascere tanti pezzi di Augusto, di
conoscerne il carattere e il pensiero e, soprattutto, di godere
della sua amicizia nonostante le differenze di età e di preferenze
artistiche: lui il realismo, io le "cervellotiche" avanguardie.
Messe queste credenziali sul tavolo, parlando di Augusto continuo
ancor oggi a rimanere convinto della necessità di inquadrare
e approfondire di più il suo lavoro, di storicizzarlo meglio
e, nello stesso tempo, anche se ciò può sembrare contraddittorio
di separarlo dagli "ismi" e dalle frequentazioni delle
sue stagioni artistiche: se egli fu, come fu, a lungo e con coerenza
quello che si diceva un artista "impegnato", da quell'impegno
seppe molte volte separare la retorica e il patente propagandismo
dei quali spesso si sente la fastidiosa ingerenza e la strumentalità
nei lavori di molti osannati maestri degli anni della sua formazione.
Lungi dal riprodurre il logoro ed errato clichè dell' "uomo
delle montagne", ho sempre trovato in Augusto il vaccino del
pudore e persino della diffidenza verso gli eccessi dell'appartenenza
politica maritati al fare artistico. "Stare fuori" dai
giri nazionali, non frequentare quotidianamente, salvo l'enfasi
delle inaugurazioni, il mondo dei grandi centri dove ogni gesto
si faceva bandiera, ha preservato Augusto dalle cieche militanze
e ha consentito che ascoltasse la sua indole più vera e quel
rispetto dei materiali, che "viene meglio" quando non
ci si affanna a dover dimostrare o confutare tesi su tesi. Nell'arte
italiana del dopoguerra, dove partigiani, proletari e bandiere rosse
sostituirono i monumenti e le iconografie dei legionari fascisti,
dell'Impero e delle corporazioni, Murer ha impollinato la crescita
di un suo linguaggio guardando davvero, mi si consenta il gioco
di parole, al "vero".
Lo dimostrano i tanti legni dei suoi primi anni, in particolare
le figure al sole che non ritraggono modelli da accademia ma corpi
di giovani sui torrenti di montagna; lo dimostrano i cicli dedicati
al sacro e, non da ultimo, la mole immensa dei disegni. Disegni
"di esercizio", "ginnastica" della mano e della
mente, disegni destinati non alla vendita ma al lavoro, alla continua
appropriazione della forma, delle posture dei soggetti, degli innumerevoli
angoli visuali. Mostrare, ri-mostrare i disegni di miniera è
dunque uno dei nuovi passaggi per rileggere e ricollocare Murer,
per setacciarne i meriti separandolo sia dal realismo manifestamente
impegnato politicamente dei primi anni, sia dalle fortune del fiabesco
e del mitologico della sua ultima produzione. Setaccio e separazione
non tesi a istituire gerarchie tra l'una e l'altra cosa, operazione
assurda e impossibile, ma strumenti per un lavoro di smontaggio
e individuazione degli stilemi che poi troveremo sempre presenti
sia nell'opera grafica sia nella scultura. Sgombrato il campo da
un Murer sic et simpliciter riconducibile a chi, prima che artista,
sentiva il dovere di dichiararsi comunista o socialista, altrettanto
sbagliato sarebbe mettere Murer fuori dalla storia. Lui disegna
e scolpisce dopo aver fatto la Resistenza là dove è
stata tra le più crude, attende alle sue cose nei primi anni
di quella Repubblica, orgogliosamente "fondata sul lavoro",
anni di grandi lotte operaie e contadine dove brillano grandi organizzazioni
come la C.G.I.L. di Di Vittorio, che sono qualcosa di più
che semplici organizzazioni sindacali e di categoria.
Che il lavoro sia un tema centrale per Murer, che dei lavori più
umili della sua terra e di emigranti si occuperà anche dopo,
è dunque cosa tra le più naturali, com'è naturale
che tra i lavoratori per antonomasia, in quella erroneamente ritenuta
periferia italiana che è il bellunese, dove di operai di
fabbrica ce n'erano pochi, i minatori siano oggetto della sua ricerca.
Meno "naturale" e per niente ovvio è, invece, scoprire
come in un mondo allora chiuso, povero di cibo, di strade e di informazione,
le miniere e i minatori della Val Imperina, lungi dal somigliare
all'iconografia del realismo parasovietico, sono invece strettamente
imparentati ai sotterranei dell'Inghilterra bombardata dai nazisti
e rappresentata da Henry Moore e da Sutherland. E' come se il giovane
Murer, calandosi nei pozzi, percorrendo caverne, anfratti e cunicoli
dove lavorano gli uomini scuri dalla lampada in fronte che, come
nell'Agordino, scavano sotto il Belgio, la Germania, la Svizzera
e la Francia, si mettesse in sintonia con un pezzo enorme della
figurazione europea. Una sintonia accentuata dal tratto forte, senza
alcuna concessione manieristica, dove il supporto povero della carta
scura e il carboncino diventano un'unica materia del disegno come
nei Mangiatori di patate di Van Gogh fino a Permeke e ai due inglesi
già citati.
Questi
disegni di Murer, come il Gibbo per Tono Zancanaro, sono dunque
pagine di riflessione europea uscite dall'autarchia fascista e dal
provincialismo in cui sono confinati i suoi oppositori. I disegni
di miniera di Murer sono essi stessi "miniera"; lo sono
per noi che li vediamo oggi, ma lo sono stati per i successivi sviluppi
lavorativi dell'autore. Sono disegni come pozzi dai quali attingere:
lo spettatore vi attinge emozioni e informazioni sulla condizione
umana costretta ad uno dei lavori più drammatici; Murer vi
attinge per sé, sia in quegli anni sia dopo. Disegnando egli
assimila, digerisce, cresce come grande metabolizzatore grafico.
Anche tanti anni dopo parlando con lui di tutto ciò, capivo
come egli, estraneo agli astratti, non fosse estraneo alla loro
matericità, avesse comprese e usate certe loro zumate espressionististiche.
Ora, a vent'anni dalla sua morte, quei disegni fortunatamente non
dispersi sono di nuovo o per la prima volta tra noi. Quanti saranno
a vederli nei locali dell'ex centro minerario della Val Imperina?
Per quanto numeroso potrà essere il pubblico di questa mostra,
sarà comunque insufficiente a veicolare un messaggio e un'esperienza
che restano attualissimi.
7
giugno 2005
ELIO
ARMANO
|
|
Chaque
fois que je tombe sur le concept déformé d'"identité
vénitienne", presque automatiquement les figures de
Tono Zancanaro et Augusto Murer s'offrent à ma vue. En
quelques jours, ils nous quittèrent l'un après l'autre,
en laissant un vide dans ce payasage culturel vénitien
qui a tellement donné et qui donne encore à notre
pays. Le tout sans céder à ces manières caricaturales
et vernaculaires auxquelles la grossièreté et la
politique de bas profil voudraient nous plier en nous manipulant
de façon ridicule. Ils s'en sont allés ensemble,
et de la même façon ai-je eu la chance de les connaître
de nombreuses années avant leur mort. J'étais alors
un jeune visiteur assidu de Forno di Canale ainsi que de toute
la Val del Biois. C'étaient mon "endroit de l'âme"
qui se mélangeait aux premières lectures importantes
et à celles qui seraient devenues mes idéaux politiques
et culturels. Grâce à Tono je rencontrai et fit la
connaissance d'Augusto, une amitié que je cultivai de façon
discontinue jusqu'aux longues fréquentations dans l'atelier
des Molini, où, en tant qu'invité toujours bien
accueilli, je travaillais à mes oeuvres à ses côtés
ainsi qu'aux côtés de son fils Franco. Tous les deux
m'entraînaient dans des conversations interminables qui
continuaient, une fois notre travail achevé, pendant le
déjeuner et le dîner ainsi que lors des longues courses
en voiture vers les fonderies de Vérone et de Vicence où
nous avions l'habitude de retoucher la cire à modeler ;
ou encore dans l'atelier lithographique de Giuliano Busato. J'ai
eu ainsi le privilège, non seulement d'assister à
la naissance de nombreuses oeuvres d'Augusto, mais aussi de connaître
son caractère et ses idées et surtout de jouir de
son amitié malgré notre différence d'âge
et nos différences concernant nos préférences
artistiques: pour lui, le réalisme, pour moi les avant-gardes
"fantasques". Après ces avant-propos, en parlant
d'Augusto je continue encore aujourd'hui à être convaincu
de la nécessité de situer et approfondir davantage
son art, de mieux l'interpréter historiquement et en même
temps, même si cela peut sembler contradictoire, de le séparer
de ses "isthmes" et des fréquentations de ses
saisons artistiques. S'il fut, et on en a les preuves, longuement
et avec cohérence ce que l'on appelait un artiste "engagé",
il a su très souvent séparer la rhétorique
et le propagandisme manifeste de cet engagement, dont on sent
l'ennuyeuse ingérence ayant comme but d'instrumentaliser
les oeuvres de nombreux maîtres acclamés pendant
les années de sa formation. Bien loin de reproduire le
cliché tant usé et faux d'"homme de la montagne",
j'ai toujours trouvé en Augusto la pudeur et même
la méfiance à l'égard des excès de
l'appartenance politique unis à la production artistique.
"Ne pas se mêler" au milieu national, ne pas fréquenter,
sauf lors des vernissages, le monde des grands centres, où
chaque geste signifiait se ranger sous la bannière de quelqu'un,
a préservé Augusto du militantisme aveugle et lui
a permis de suivre sa vraie nature et de respecter les matériaux
qui donnent des résultats meilleurs lorsqu'on ne s'acharne
pas à devoir démontrer ou réfuter une thèse
après l'autre. Dans l'art italien de l'après-guerre,
où partisans, prolétaires et drapeaux rouges remplaçaient
les monuments et les iconographies des légionnaires fascistes,
de l'Empire et des corporations, Murer a développé
un propre langage en se concentrant vraiment, permettez-moi le
jeu de mot sur le "vrai". Les bois sculptés pendant
les premières années le démontrent clairement,
surtout les silhouettes au soleil qui ne représentent pas
des modèles d'académie mais des corps de jeunes
au bord des torrents de montagne. Une autre preuve sont les cycles
dédiés à l'art religieux et, non pas en dernier
lieu, une grande quantité de dessins. Il s'agit d'"exercices",
de "gymnastique" manuelle et mentale, en d'autres mots
de dessins destinés non pas à la vente mais au travail,
à une appropriation continue de la forme, des positions
des sujets et des innombrables angles visuels. Donc, montrer,
remontrer les dessins des minières est un des nouveaux
passages pour relire et remettre en place Murer, pour en peser
les mérites en le séparant soit du réalisme
qui est manifestement engagé dans la politique, soit du
succès de la production féerique et mythologique
de ses dernières années. Cette analyse et division
n'ont pas comme but d'établir une hiérarchie entre
l'une et l'autre car ce serait une opération absurde et
impossible, mais il s'agit d'instruments pour un travail de démontage
et de repérage des styles particuliers de Murer que nous
trouverons ensuite toujours présents dans ses oeuvres graphiques
ou dans ses sculptures. Après avoir chassé de l'esprit
l'idée d'un Murer sic et simpliciter, une idée qui,
par ailleurs, est liée à qui, avant l'artiste, sentait
le devoir de se déclarer communiste ou socialiste, il serait
d'autant plus erroné de placer Murer en dehors de l'histoire.
Il dessine et sculpte après avoir mené la Résistance
là où elle a été parmi les plus dures.
Il s'occupe de son art pendant les premières années
d'une République "fondée sur le travail"
avec fierté, des années de grandes luttes ouvrières
et paysannes où de grands syndicats comme la CGIL de Di
Vittorio brillèrent. Il s'agissait de quelque chose de
plus par rapport aux simple organisations syndicales et de catégorie.
Il est donc naturel, que le travail ait été un thème
central pour Murer, qui s'occupera des travaux les plus modestes
de sa terre et d'émigrants aussi plus tard. Il est aussi
naturel que parmi les travailleurs par antonomase, dans cette
province de Belluno, qui a été considérée
par erreur une banlieue italienne et où il y avait peu
d'ouvriers d'usine, les mineurs aient été l'objet
de sa recherche. Au contraire, il est moins "naturel"
et pas du tout évident de découvrir que dans un
monde jadis clos, privé de nourriture, pauvre en routes
et informations, les minières et les mineurs de la Val
Imperina, bien loin de ressembler aux iconographies du réalisme
para soviétiques, soient strictement liés aux souterrains
de l'Angleterre bombardée par les nazis et représentée
par Henry Moore et Sutherland. C'est comme si le jeune Murer,
en descendant dans les puits, en parcourant les cavernes, ravins
et voies de carrières où travaillent les hommes
noirs avec leur lampe placée sur le front qui, comme dans
l'Agordino, creusent sous la Belgique, l'Allemagne, la Suisse
et la France, se mettait en contact avec une partie énorme
de la figuration européenne. Donc, une syntonie accentuée
aux traits durs, sans aucune concession propre du maniérisme,
où le support pauvre constitué par du papier foncé
et un fusain deviennent une seule matière du dessin comme
dans les Mangeurs de pommes de terre de Van Gogh jusqu'à
Permeke et aux deux Anglais que nous avons mentionnés naguère.
Ces dessins de Murer, ainsi que le Gibbo pour Tono Zancanaro,
sont donc des pages de réflexions européennes issues
de l'autarcie fasciste et du provincialisme dans lesquels ses
opposants ont été relégués. Les dessins
des minières de Murer sont eux-mêmes une "minière"
; ils le sont pour nous qui les voyons aujourd'hui, mais ils l'ont
été pour la phase créative et productive
suivante de l'auteur. Il s'agit de dessins à partir desquelles
le spectateur puise des émotions et des informations sur
la condition humaine contrainte à un des travaux les plus
durs; Murer y puise pour soi, soit en ce temps-là soit
pendant les années qui suivirent. En dessinant il assimile,
digère, croît en tant que grand transformateur graphique.
Même après de nombreuses années en parlant
avec lui de tout cela, je compris la mesure dans laquelle, même
s'il était étranger aux oeuvres abstraites, il n'était
néanmoins pas étranger à leur matièricité
et en plus il avait compris et utilisé quelques-unes de
leurs prises de vue expressionnistes.
Maintenant, à vingt ans de sa mort, ces dessins qui heureusement
n'ont pas été égarés sont à
nouveau ou pour la première fois parmi nous. Combien de
personnes y aura-t-il dans les locaux de l'ancien centre minier
de la Val Imperina pour les admirer ? Quelque soit le nombre de
visitateurs de cette exposition, il sera toutefois insuffisant
à transmettre un message et une expérience qui restent
très actuels.
ELIO
ARMANO
|