Nell'aprile
del 1953, Augusto Murer espone alla Galleria Cairola di Milano:
ed è evento miliare nella sua vicenda artistica ed umana.
Si fa conoscere, infatti e anzitutto, al di fuori dell'ambito regionale
entro il quale il circolar della sua produzione era rimasto confinato
( un paio di esposizioni a Falcade nel 1949 e nel 1951; un'altra
nella sala d'arte Rossoni di Trieste nell'aprile-maggio del 1952,
con quel Pasquale Krischan che, in veste di critico e su una pagina
del "Gazzettino", aveva additato il talento di "questo
grande lavoratore del legno"), e all'indomani, per giunta,
del segnale costituito dall'affermazione, decretata da una giuria
di cui facevan parte un De Grada e un Maltese,un Casorati e un Lioncillo,
alle Olimpiadi culturali della Gioventù del 1952, dell'opera
i redentori della terra. Ma non solo, giacchè, nell'ambiente
vivace e prestigioso di via della Spiga, ancor impregnato degli
umori di Corrente, " si incontravano solo i nomi più
importanti delle arti figurative italiane", e Murer può
stabilir un dialogo diretto e aperto con Gabriele Mucchi, con Aligi
Sassu, con Tono Zancanaro, con Renato Guttuso, con Ernesto Treccani;
e con i critici Mario De Micheli e Raffaele De Grada. Si tratta
di figure le quali - come proprio De Grada
rammentava introducendo la memorabile mostra ferrarese (1960) sul
"Rinnovamento dell'arte in Italia, 1930-1945" -, convinte
della necessità del "salto qualitativo tra un arte di
contemplazione e un arte di partecipazione e poi di lotta",
avevano compreso "che se non cambiavano i termini del rapporto
civile, neppure loro potevano conquistare la libertà nell'autonomia
dell'arte, circondata dalla schiavitù di tutti", e della
"lotta per la libertà" avevano fatto " il
motore del processo artistico", raccogliendone l'impulso "a
conoscere il volto degli uomini, in una natura che cominci anch'essa
a partecipare al dramma". E tutte avevano preso parte alla
Resistenza e ne avevano dato vibrante testimonianza visiva; si trattava
d'esperienza che, se non altro su piano esistenziale, le affratellava
a Murer che, pur tanto più giovane (solo Treccani gli era
suppergiù coetaneo), aveva combattuto da partigiano sulle
montagne intorno alla sua Falcade, tra quelle "foreste - per
usar le sue stesse parole - in cui radici, tronchi e pietre si confondono
in un groviglio che corrisponde quasi all'alba della creazione":
e vedeva "nei tronchi [
] agitarsi tutte le altre forme
di vita, già con i loro nodi nervosi, le loro vene ricche
di linfe e di sangue, le loro mani protese verso l'alto in un anelito
di libertà". E, ogniqualvolta un momento di riposo e
di tranquillità era dato, appoggiato al tronco di un antico
abete, inzeppava quaderni di disegni, riprendendo i visi e i gesti
delle compagne
e dei compagni di lotta, che poi pubblicava nei giornaletti ciclostilati
della Divisione Garibaldi, firmandosi "Artista della Brigata"
che aveva preso il nome dai fratelli Emilio e Giacomo Fenti , caduti
nell'agosto del 1944 combattendo contro i Nazisti a Caviola, e la
cui sorella Augusto sposerà, prendendola intanto a modella
dei primi volti muliebri che veniva scolpendo.
Nell'ambiente congeniale della Galleria Cairola - che, aprendogli
le porte, nella diatriba rovente di quei giorni tra i paladini del
formalismo astrattista e quelli del realismo, lo arruolava inevitabilmente
nel novero di questi ultimi , Murer trova subito in Tono Zancanaro
l'interlocutore privilegiato (e sarà, quindi, un'amicizia
fraterna durata trent'anni), come lui provinciale ostinato, ma persuaso,
e alla prova dei fatti con piena ragione, che si può far
arte ad altissimo livello anche restando in provincia, e dalle sue
peculiarità traendo linfa originale e vitale. E' il momento
in cui Tono era venuto a contatto con la gente delle risaie e d'altri
umili e faticosi lavori, e dedicava ad essa il proprio impegno,
praticando una sua libera e spregiudicata poetica realistica; ed
è il momento in cui Augusto volge lo sguardo alle genti delle
miniere agordine di Valle Imperina, che la Montecatini aveva appena
rilevato per rilanciarne, previo qualche ammodernamento, l'attività
produttiva.
La scelta non deve apparire né casuale, né pretestuosa,
giacchè risulta, viceversa, profondamente motivata e tutt'
affatto coerente con quell'anelito "a conoscere il volto degli
uomini, in una natura che cominci [ava] anch'essa a partecipare
al dramma", che preesisteva all'incontro con i protagonisti
del realismo programmatico, ed apparteneva irreversibilmente a chi
aveva "scelto - lo sottolinea, con grande finezza, Mario Rigoni
Stern - di vivere in montagna [
:] infine, in un paese dentro
una valle [dove] l'uomo non è folla ma pur sempre il povero
cristo" che col sudore della pena e del travaglio guadagna
il pane quotidiano; e la gente che tribolava e si rompeva la schiena
a cavar rame e argento nella profondità asfittica di quelle
miniere, replicava un destino secolare di dannati della terra. Ch'era
cominciato lontano nel tempo, e ben prima che allo sguardo curioso
del giovane Marin Sanudo, in giro per il veneto Dominio tra 1482
e 1483, si profilassero "le Carbonare et la fusina dove si
colla rami" e "le buse" che, allorchè decise
di andarvi "per entro", gli susciteranno l'apparizione
spettrale di "uno maestro chiamato Sboicer, todesco, con una
barba lunga"; e saranno, poi, secoli di sfruttamento che vedono
il succedersi, ad organizzarlo e gestirlo, della Serenissima, dei
Governi napoleonico ed austriaco, del Regno d'Italia, di privati
imprenditori, tra disastri
di fuoco e d'acque e ammodernamenti finalizzati sovrattutto a spremere
dalle viscere dei monti tutto quanto in metallo potevano dare.
Nel corso degli anni Cinquanta, Murer torna e ritorna sulla gente
delle miniere agordine (ma vi irrompe, ad un certo momento, quello
della tragedia di Marcinelle), fissandone i tratti duri e scavati
dei visi, gli occhi smarriti, le grosse mani, le spalle robuste
e curve, in straordinari saggi grafici non necessariamente preparatori
di sculture e rilievi, ma finiti in se stessi, come "tragitti
del segno - giusta la lettura efficacissima di Giuseppe Mazzariol
- sulla virtualità spaziale del foglio, che è destinata
a farsi azione e tensione di masse plastiche, alternanze di luce
e di tenebre, di noto o esplicito e di oscuro, minaccioso, incombente
che è nell'implicito, nel non chiarito, definito". I
richiami, allora, alle "mondine" di Tono, ove pur hanno
qualche legittimità, valgono, comunque, solo sino ad un certo
punto, così come quelli, risalendo "per li rami",
ai "mangiatori di patate" di Van Gogh (e sarebbe, forse,
il caso di domandarsi con maggior pertinenza se ad Augusto fosse
capitato di veder cose - la grande retrospettiva berlinese del 1951
ebbe notevole risonanza anche in Italia - di quella Käthe Kollwitz
la quale, nell'ultima pagina del suo Tagebuch, aveva riportato le
parole di Goethe che anche lui avrebbe sottoscritto: "Ich bin
aus die Wahrheit der f?nf Sinne": "sono per la verità
dei cinque sensi". Il fatto si è che, già in
codeste prove straordinarie, "Murer ( le conclusioni sono di
Franco Solmi, ed è il caso di riportarle nell'interezza),
e per effetto di frequentazioni, e per stravolgimento del senso
critico allora ancorato forse più che ai nostri giorni a
classificazioni sbrigative, fu inserito nelle caselle del neorealismo,
e questo proprio negli anni in cui una più avvertita coscienza
fenomenologica dava vita, nella Milano di Banfi, alle prime manifestazioni
del realismo esistenziale ove il significato di impero in arte si
dilatava ben oltre i confini del contenutismo. Un atteggiamento
meno distratto avrebbe verificato in Murer non certo le angosce
esistenziali proprie dell'uomo rattrappito nella gabbia urbana,
ma un afflato potente, civilissimo che lo conduceva a escursioni
plastiche e poetiche ben più ampie di quelle consentite dagli
angusti spazi neorealistici". Ma, ad alimentarlo, non è
solo - ovviamente - "la magia misteriosa" dei "boschi
profondi, e le montagne" "in cui - è l'artista
stesso, come abbiamo visto, a confessarlo - radici, tronchi e pietre
si confondono in un groviglio che corrisponde quasi all'alba della
creazione" e si agitano "tutte le altre forme di vita":
è anche - e sarei per
dire sovrattutto - una lezione precoce e di forza irreversibile
che, sin dal 1963, un raffinato (e oggi un po' dimenticato) poeta,
Diego Valeri, aveva colto. "Murer - scriveva - viene da Martini"
e, anzi - aggiungeva - "meglio sarà dire che Murer è
l'unico allievo di Martini che in qualche modo, o meglio a suo modo,
continui il maestro": anche quando, vorrei enfatizzare, si
misura con la grafica.
Piacerebbe, in realtà, saperne ben di più intorno
al breve, e pur tanto fecondo, sodalizio veneziano con il grande
scultore; e si sa solo, invece, che fu nel 1943 quando, determinato
a seguir i corsi di Martini all'Accademia, era sceso tra le Lagune
e, impedito per ragioni che non son chiare di frequentarli, era
stato, tuttavia, scelto dal Maestro in qualità di aiuto nel
suo studio, ch'era nella casa di proprietà Velluti, al numero
46 di Dorsoduro in calle dello Squero, presso la punta della Dogana,
dove Martini si era trasferito da Rosà sin dal novembre 1942
proprio per svolgere l'attività didattica. Pochi mesi, dunque:
verisimilmente, la primavera del 1943, giacchè è molto
probabile che Augusto sia tornato subito dopo il 25 luglio e per
certo all'indomani dell'8 settembre, alle sue montagne: ma, per
dir così, mesi di fuoco. Se, nelle lezioni, Martini, a quanto
pare (gli appunti preparatori sono stati distrutti da Luigi Tito
su ordine del Maestro stesso, e con essi, chissà, qualche
eventuale accenno a Murer), insisteva sulla questione dell'ombra
costruttiva movendo dalla teoria delle "forme fisiologiche"
di Deluigi per scartarne tuttavia le conclusioni (e ciò sta
nell'origine della rottura lacerante con l'amico pittore) - Nico
Stringa ha ricostruito in maniera esemplare codesta, drammatica
fase -, tra le pareti dello studio alla Dogana si poneva drammatiche
domande sulla "scultura lingua morta" arrovellandosi sulla
suggestione della Guernica picassiana intorno alla interpenetrazione
dinamica delle forme plastiche nello spazio come "trampolino
per il grande salto nella modernità". Son i giorni in
cui plasmava la Cavalla che allatta, ora nel Museo civico di Vicenza,
o l'Atmosfera di una testa, ora nel Museo del paesaggio di Verbania
Pallanza: ma sono i giorni, in ispecie, della sfida estenuante del
Pegaso caduto, il cui bozzetto è stato recentemente acquistato
dalla Banca Popolare di Vicenza, sebbene confidasse poco dopo, a
Gino Scarpa che "il disegno è una bravura, un sovrappiù,
che non serve mai a niente, muore sempre come disegno", Martini,
cerca il rapporto dialettico nelle convulsione delle forme, naturali
e umane, anche tracciando peripezie di segni su fogli a buon diritto
segnalati da Neri Pozza che, in quegli stessi giorni - con Carlo
Scarpa -, fu vicino al Maestro
e partecipe del suo dramma. Testimone appartato e muto, ma attento
sino allo spasimo, il ragazzo sceso da Falcade, apprendeva la lezione
del confronto che l'artista deve stabilire con la materia per sprigionarne
la forma immaginata dalla propria fantasia. Non "rifarà"
mai Martini (anche se una china del 1955 e un carboncino del 1957
con La morte del cervo sembrano rivisitare Picasso nella memori
indelebile dei tormenti grafici martiniani per il Pegaso), ma ne
aveva carpito il segreto. E aveva imparato a sapere (come lo sapevano
il suo Maestro, e il Canova, ), e da "realista profondo",
la sofferenza del processo, e la complessità del processo,
che possa trarre, e rappresentare nell'assoluto delle immagini,
il "dramma dell'essere universale".
Nei disegni delle miniere, - esposti adesso, per la prima volta,
nello stesso ambiente piranesiano della miniera - v'è, tutto
e sicuro, il presagio dell' "insonne batalla" dell'"arquitecto
real ", cantato da Rafael Alberti; della fiamma che fa "enceder
al aire las raices mas oscuras, los huesos de sconosidos, verdad
y fantasia".
LIONELLO PUPPI
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RIUNIONE
IN MINIERA
- 1950 -
carboncino su carta intelata
cm 66x48
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RIUNIONE
IN MINIERA
- 1951 -
china
cm 47,5x31
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I
MINATORI DELL'AGORDINO
- 1955 -
tempera e china
cm 70x50
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I
MINATORI DELL'AGORDINO
- 1955 -
china
cm 43,5x 34,5
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I
MINATORI DELL'AGORDINO
- 1955 -
china
cm 29,6x20,9
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IL
GRISU'
- 1953 -
matita
cm 47x33
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MINATORE
- 1952 -
china
cm 50x37
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DIMOSTRANTE
CADUTO
- 1953 -
china, cm 28,5x21
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RIUNIONE
IN MINIERA
- 1952 -
carboncino e matita
cm 49,5x35
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RIUNIONE
IN MINIERA
- 1952 -
xilografia
cm 49,5x35
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RIUNIONE
IN MINIERA
- 1955 -
china
cm 43,5x34,5
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RIUNIONE
IN MINIERA
- 1955 -
china
cm 50x37
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RIUNIONE
IN MINIERA
- 1955 -
xilografia
cm 50x37
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IL
RIPOSO DEL MINATORE
- 1953 -
carboncino
cm 29,5x21
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TURNO
IN MINIERA
- 1955 -
xilografia
cm 42x23 (parte disegnata)
cm 50x70 (foglio)
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UOMO
CHE CAMMINA NELLA NEVE
- 1979 -
Legno olivo
cm 200x70x85
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Au
mois d'avril 1953, Augusto Murer expose à la Galerie Cairola
de Milan : c'est un événement sans précédent
dans sa carrière d'artiste et d'homme. En fait, il se fait
connaître en dehors de son territoire, la Vénétie,
à laquelle sa production avait été reléguée
(quelques expositions à Falcade en 1949 et 1951 ; une autre
à Trieste dans la salle d'art Rossoni aux mois d'avril et
mai 1952 avec Pasquale Kirschan, qui en tant que critique d'art
avait souligné dans un article paru dans le quotidien Gazzettino
le talent de "ce grand travailleur du bois"). Tout cela
eut lieu le jour suivant le signal constitué par le succès,
aux Olympiades culturelles de la Jeunesse de 1952, de son uvre
d'art Les rédempteurs de la terre, décrété
par un jury dont les membres étaient entre autres De Grada,
Maltese, Casorati et Lioncillo. Mais cela ne suffit pas: du moment
que dans le milieu vivace et prestigieux de via della Spiga , encore
imprégné des humeurs du courant artistique de l'époque,
"on ne rencontrait que les noms les plus importants des arts
figuratifs", Murer put établir un dialogue direct et
ouvert avec Gabriele Mucchi, Aligi Sassu, Tono Zancanaro, Renato
Guttuso et Ernesto Treccani ainsi que les critiques d'art Mario
De Micheli et Raffaele De Grada. Il s'agit de personnages qui, comme
De Grada a rappelé en introduisant la mémorable exposition
de Ferrare (1960) sur "Le renouveau de l'art en Italie, 1930-1945",
étaient convaincus de la nécessité d'un "saut
de qualité entre l'art de contemplation et l'art de participation
et en second lieu de lutte". Ainsi ils avaient compris que
"si les termes de rapport civil ne changeaient pas, eux non
plus ne pouvaient pas gagner la liberté dans l'autonomie
de l'art, entourée par l'esclavage de tous". En plus
ils avaient fait de la "lutte pour la liberté, le moteur
du procès artistique", en en recueillant l'impulsion
"à connaître le visage de l'homme, dans une nature
qui commence elle aussi à participer au drame". Et toutes
ces figures avaient pris part à la Résistance et en
avaient donné un témoignage visuel touchant. Il s'agissait
d'expériences qui, du moins sur un plan existentiel, les
unissaient à Augusto Murer qui, même s'il était
plus jeune qu'eux (seul Treccani avait à peu près
son âge), avait combattu comme partisan dans les montagnes
autour de Falcade, son village natal, dans ces "forêts",
pour citer ses propres mots, "dans lesquelles les racines,
les troncs et les pierres se confondent dans un enchevêtrement
qui correspond presque à l'aube de la création".
Il voyait "dans les troncs [
..] toutes les autres formes
de vie s'agiter, avec leurs noeuds nerveux, leurs veines riches
en sève et sang, leurs mains tendues vers le haut avec un
désir ardent de liberté". Et, chaque fois qu'il
jouissait d'un moment de repos et de tranquillité, appuyé
au tronc d'un vieux sapin, il remplissait ses cahiers de dessins,
en représentant les visages et les gestes des camarades de
lutte. Puis il les publiait dans les journaux polycopiés
de la Division Garibaldi, en signant Artista della Brigata, que
lui-même avait emprunté aux frères Emilio et
Giacomo Fenti, morts en août 1944 en combattant contre les
nazis à Caviola. Leur soeur deviendra plus tard l'épouse
d'Augusto Murer, après avoir posé comme modèle
pour les premiers visages de femme qu'il a sculptés.
Dans le milieu favorable de la Galerie Cairola qui, en lui ouvrant
ses portes lors de la diatribe enflammée de cette période
entre les paladins du formalisme abstrait et ceux du réalisme,
l'enrôlait inévitablement au nombre de ces derniers,
Murer trouve tout de suite dans la personne de Tono Zancanaro un
interlocuteur privilégié (destiné à
devenir un de ses amis plus fidèles ; en effet leur amitié
durera trente ans). Zancanaro était comme lui, un provincial
obstiné, mais convaincu, et les faits démontreront
avec le temps qu'il a eu raison, que l'on peut faire de l'art à
un très haut niveau même en vivant en province. Et
de la particularité de sa vie provinciale il a su traire
une sève originale. C'est le moment où Tono était
venu en contact avec les gens des rizières et ceux qui avaient
un travail humble et fatigant. Et c'est à eux qu'il consacra
son propre engagement, en pratiquant une poétique réaliste,
libre et affranchie, au moment même où Augusto tourna
son regard vers les gens des mines de la Vallée Imperina
dans les alentours d'Agordo. L'entreprise Montecatini venait de
les relever pour en relancer l'activité productive après
quelques modernisations.
Le choix ne doit sembler ni un cas du hasard, ni un prétexte,
vu qu'il se révélât être profondément
motivé et tout à fait cohérent avec cette ardeur
à "connaître le visage des hommes, dans une nature
qui commence elle aussi à participer au drame". D'autant
plus que cet élan existait déjà avant la rencontre
de Murer avec les protagonistes du réalisme programmatique
et appartenait irréversiblement à ceux qui avaient
"choisi ", comme Mario Rigoni Stern l'a souligné
avec grande finesse, "de vivre à la montagne [
..],
dans un village à l'intérieur d'une vallée
[où] l'homme n'est pas foule mais tout de même le pauvre
bougre" qui avec peine et labeur gagne son pain quotidien.
Les personnes qui travaillaient durement et se cassaient le dos
à force d'extraire du cuivre et de l'argent dans les profondeurs
étouffantes de ces mines réitéraient un destin
séculaire de damnés de la terre. Le tout avait commencé
jadis et bien avant que le regard curieux de Marin Sanudo, en balade
à travers le Domaine vénitien entre 1482 et 1483,
ne croise "les Carbonare (mines de charbon) et la forge où
l'on fond les cuivres" et le buse (les fournaises)" qui
quand il decida d'y "entrer" suscitèrent en lui
une apparition spectrale d'" un maître du nom de Sboicer,
de nationalité allemande, avec une longue barbe". Ensuite
il y eut des siècles d'exploitation qui virent la succession,
en ce qui concerne son organisation et gestion, de la Sérénissime
République, des Gouvernements napoléoniens et autrichiens,
du Royaume d'Italie et d'entrepreneurs privés. Toute cette
période fut couronnée par des calamités telles
que des incendies, des inondations et des modernisations avec le
but d'extraire des entrailles des montagnes tout le métal
qu'elles pouvaient fournir.
Pendant les années 50, Murer retourne sans cesse à
parler dans ses uvres des gens des mines de l'Agordino (mais,
tout d'un coup, la tragédie de Marcinelle fait irruption).
Il fixe les traits durs et creux de leurs visages, leurs yeux en
plein désarroi, les grosses mains, les épaules robustes
et voûtées dans des essais graphiques pas nécessairement
en vue de futures sculptures ou reliefs, mais comme un travail déjà
terminé. Ces figures sont comme le " parcours du signe
- pour citer l'interprétation correcte et très efficace
de Giuseppe Mazzariol - le long de la virtualité spatiale
de la feuille, qui est destinée à engager une action
et une tension de masses plastiques, de jeux de lumière et
ténèbres, de connu ou explicite et d'obscur, de menaçant,
de dominant qui se trouve dans le monde implicite, dans des formes
qui ne sont pas claires, voire indéfinies". Ensuite,
le rappel des éplucheuses de riz de Tono Zancanaro, là
où il serait légitime de percevoir quelques allusions,
ainsi que les références aux mangeurs de pommes de
terre de Van Gogh remontant jusqu' aux cuivres. Ce serait peut-être
le cas de se demander avec une majeure pertinence si Augusto avait
eu l'occasion de voir les uvres d'art de Käthe Kollwitz
dont la grande rétrospective berlinoise de 1951 eut un considérable
succès aussi en Italie. Kollwitz, dans la dernière
page de son Tagebuch (journal intime), avait reporté les
mots de Goethe qu'Augusto lui-même aurait souscrits: "Ich
bin aus die Wahrheit der fünf Sinne (je suis pour la vérité
des cinq sens)". Les faits démontrent que, déjà
dans ces dessins extraordinaires, "Murer" (les commentaires
conclusifs sont de Franco Olmi et il vaut la peine de les citer
dans leur version intégrale),"soit en conséquence
de ses fréquentations, soit pour un bouleversement du sens
critique jadis enraciné, plus que de nos jours, dans des
classifications hâtives, fut inséré dans le
courant du néoréalisme. Cela se passa dans les années
où une conscience phénoménologique plus vive
donnait naissance, dans la Milan de Banfi, aux premières
manifestations du réalisme existentiel où la signification
d'empire dans les arts allait bien au-delà des limites du
contenutisme. Une attitude moins distraite n'aurait certainement
pas produit en Murer l'angoisse existentielle qui est propre de
l'homme prisonnier dans la cage humaine, mais une inspiration forte
et très civile qui le menaient à des excursions plastiques
et poétiques bien plus vastes de celles permises par les
espaces néoréalistes trop étroits". Mais,
à alimenter ce souffle créatif, il n'y a pas seulement
"la magie mystérieuse" des " grandes forêts
et des montagnes" dans lesquelles - c'est l'artiste lui-même
qui l'a confessé - "les racines, les troncs et les pierres
se confondent dans un enchevêtrement qui correspond presque
à l'aube de la création" et où s'agitent
"toutes les autres formes de vie". C'est, et j'oserais
dire surtout, une leçon précoce ayant une force inébranlable
que Diego Valeri, poète raffiné et aujourd'hui tombé
dans l'oubli, avait saisie, déjà à partir de
1963. "Murer", écrivait-il, "vient de l'école
de Martini" et, ajoutait-il en outre, "il vaudrait mieux
dire que Murer est le seul élève de Martini qui en
un certain sens, ou plutôt à sa manière continue
ce que son maître a fait". Cela vaut aussi, et j'aimerais
le mettre en relief, lorsqu'il se mesure avec la graphique.
En fait, on aimerait bien en savoir davantage à propos de
sa brève mais toutefois féconde collaboration vénitienne
avec le grand sculpteur. On sait seulement que leur amitié
a commencé en 1943, lorsque Murer prit la décision
de suivre les cours de Martini à l'Académie des Beaux-Arts.
Il avait quitté ses montagnes et avait rejoint les Lagunes.
Mais pour des raisons inconnues on l'avait empêché
de fréquenter les cours . Toutefois, il avait été
choisi par le Maître en qualité d'assistant dans son
atelier, situé Calle dello Squero au numéro 46 de
Dorsoduro dans une maison qui appartenait à Velluti près
de la punta della Dogana où Martini s'était installé
pour exercer l'activité de professeur. Donc, leur rapport
dura quelques mois, vraisemblablement jusqu'au printemps 1943, étant
donné qu'Augusto est probablement retourné à
la montagne immédiatement après le 25 juillet et sûrement
le jour suivant le 8 septembre. Ce furent, certes, des mois frénétiques.
Si, pendant les leçons (les notes ont été détruites
par Luigi Tito sur ordre du Maître lui-même et avec
elles une éventuelle allusion à Murer), Martini à
ce qu'il paraît insistait sur la question de l'ombre constructive
en partant de la théorie des "formes physiologiques"
de Deluigi pour, toutefois, en écarter les conclusions (voilà
la cause de la rupture déchirante avec son ami peintre et
Nico Stringa a reconstruit d'une façon exemplaire cette phase
dramatique), entre les parois de l'atelier près de la Dogana
il se posait des questions à propos de la "sculpture
langue morte". Il se tracassait aussi sur l'attrait de la Guernica
de Picasso sous forme d'interpénétration dynamique
des formes plastiques dans l'espace comme "tremplin pour le
grand saut vers la modernité". C'est la période
pendant laquelle il modelait la Jument qui allaite, maintenant au
Musée civique de Vicence, ou l'Atmosphère d'une tête,
au Musée du paysage de Verbania Pallanza. Mais ce sont aussi
les jours du défi exténuant du Pégase tombé,
dont la maquette a été récemment acheté
par la Banque Populaire de Vicence, quoiqu' il confiât peu
de temps après à Gina Scarpa que "le dessin est
une habileté, un surplus qui ne sert à rien, il meurt
toujours en tant que dessin". Martini cherche le rapport dialectique
dans les convulsions des formes, naturelles et humaines, même
en ébauchant des péripéties de signes sur des
feuilles à juste titre signalées par Neri Pozza qui
en ce temps-là fut au côté du Maître en
prenant part avec Carlo Scarpa à son drame. Témoin
détaché et muet, mais attentif au moindre détail,
le jeune homme venu de Falcade, apprenait la leçon de la
comparaison que l'artiste doit établir avec la matière
pour en libérer la forme imaginé par la propre fantaisie.
Il n'imitera jamais Martini (même si un dessin à l'encre
de Chine de 1955 et un dessin au fusain de 1957 La mort du cerf
semblent revisiter Picasso rappelant les tourments graphiques martiniens
pour Pégase) même s'il en avait saisi le secret. Et
il avait appris à connaître - comme son Maître
et Canova - en tant que "profond réaliste" la souffrance
et la complexité du procès qui pouvait donner naissance
et représenter dans l'absolu des images le "drame de
l'être universel".
Dans les dessins des mines, en exposition en ce moment, pour la
première fois dans le même milieu des mines de Piranesi,
il y a sans aucun doute, le présage de l' "insonne batalla"
de l'"arquitecto real" chanté par Rafael Alberti
; le présage de cette flamme qui fait "enceder al aire
las raices mas oscuras, los huesos de sconosidos, verdad y fantasia."
LIONELLO
PUPPI
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