LIONELLO PUPPI :

"Disegni di Miniera.
Il Veneto in memoria di una tragedia del lavoro
".

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"La mine en dessins.
La Vénétie: à la mémoire d'une tragédie du travail
".

"MARCINELLE - 1956/2006"

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Traduzioni di: Emanuela De Toffol

ITALIANO
 
FRANÇAIS
Disegni di Miniera   La mine en dessins

Nell'aprile del 1953, Augusto Murer espone alla Galleria Cairola di Milano: ed è evento miliare nella sua vicenda artistica ed umana. Si fa conoscere, infatti e anzitutto, al di fuori dell'ambito regionale entro il quale il circolar della sua produzione era rimasto confinato ( un paio di esposizioni a Falcade nel 1949 e nel 1951; un'altra nella sala d'arte Rossoni di Trieste nell'aprile-maggio del 1952, con quel Pasquale Krischan che, in veste di critico e su una pagina del "Gazzettino", aveva additato il talento di "questo grande lavoratore del legno"), e all'indomani, per giunta, del segnale costituito dall'affermazione, decretata da una giuria di cui facevan parte un De Grada e un Maltese,un Casorati e un Lioncillo, alle Olimpiadi culturali della Gioventù del 1952, dell'opera i redentori della terra. Ma non solo, giacchè, nell'ambiente vivace e prestigioso di via della Spiga, ancor impregnato degli umori di Corrente, " si incontravano solo i nomi più importanti delle arti figurative italiane", e Murer può stabilir un dialogo diretto e aperto con Gabriele Mucchi, con Aligi Sassu, con Tono Zancanaro, con Renato Guttuso, con Ernesto Treccani; e con i critici Mario De Micheli e Raffaele De Grada. Si tratta di figure le quali - come proprio De Grada
rammentava introducendo la memorabile mostra ferrarese (1960) sul "Rinnovamento dell'arte in Italia, 1930-1945" -, convinte della necessità del "salto qualitativo tra un arte di contemplazione e un arte di partecipazione e poi di lotta", avevano compreso "che se non cambiavano i termini del rapporto civile, neppure loro potevano conquistare la libertà nell'autonomia dell'arte, circondata dalla schiavitù di tutti", e della "lotta per la libertà" avevano fatto " il motore del processo artistico", raccogliendone l'impulso "a conoscere il volto degli uomini, in una natura che cominci anch'essa a partecipare al dramma". E tutte avevano preso parte alla Resistenza e ne avevano dato vibrante testimonianza visiva; si trattava d'esperienza che, se non altro su piano esistenziale, le affratellava a Murer che, pur tanto più giovane (solo Treccani gli era suppergiù coetaneo), aveva combattuto da partigiano sulle montagne intorno alla sua Falcade, tra quelle "foreste - per usar le sue stesse parole - in cui radici, tronchi e pietre si confondono in un groviglio che corrisponde quasi all'alba della creazione": e vedeva "nei tronchi […] agitarsi tutte le altre forme di vita, già con i loro nodi nervosi, le loro vene ricche di linfe e di sangue, le loro mani protese verso l'alto in un anelito di libertà". E, ogniqualvolta un momento di riposo e di tranquillità era dato, appoggiato al tronco di un antico abete, inzeppava quaderni di disegni, riprendendo i visi e i gesti delle
compagne e dei compagni di lotta, che poi pubblicava nei giornaletti ciclostilati della Divisione Garibaldi, firmandosi "Artista della Brigata" che aveva preso il nome dai fratelli Emilio e Giacomo Fenti , caduti nell'agosto del 1944 combattendo contro i Nazisti a Caviola, e la cui sorella Augusto sposerà, prendendola intanto a modella dei primi volti muliebri che veniva scolpendo.

Nell'ambiente congeniale della Galleria Cairola - che, aprendogli le porte, nella diatriba rovente di quei giorni tra i paladini del formalismo astrattista e quelli del realismo, lo arruolava inevitabilmente nel novero di questi ultimi , Murer trova subito in Tono Zancanaro l'interlocutore privilegiato (e sarà, quindi, un'amicizia fraterna durata trent'anni), come lui provinciale ostinato, ma persuaso, e alla prova dei fatti con piena ragione, che si può far arte ad altissimo livello anche restando in provincia, e dalle sue peculiarità traendo linfa originale e vitale. E' il momento in cui Tono era venuto a contatto con la gente delle risaie e d'altri umili e faticosi lavori, e dedicava ad essa il proprio impegno, praticando una sua libera e spregiudicata poetica realistica; ed è il momento in cui Augusto volge lo sguardo alle genti delle miniere agordine di Valle Imperina, che la Montecatini aveva appena rilevato per rilanciarne, previo qualche ammodernamento, l'attività produttiva.

La scelta non deve apparire né casuale, né pretestuosa, giacchè risulta, viceversa, profondamente motivata e tutt' affatto coerente con quell'anelito "a conoscere il volto degli uomini, in una natura che cominci [ava] anch'essa a partecipare al dramma", che preesisteva all'incontro con i protagonisti del realismo programmatico, ed apparteneva irreversibilmente a chi aveva "scelto - lo sottolinea, con grande finezza, Mario Rigoni Stern - di vivere in montagna […:] infine, in un paese dentro una valle [dove] l'uomo non è folla ma pur sempre il povero cristo" che col sudore della pena e del travaglio guadagna il pane quotidiano; e la gente che tribolava e si rompeva la schiena a cavar rame e argento nella profondità asfittica di quelle miniere, replicava un destino secolare di dannati della terra. Ch'era cominciato lontano nel tempo, e ben prima che allo sguardo curioso del giovane Marin Sanudo, in giro per il veneto Dominio tra 1482 e 1483, si profilassero "le Carbonare et la fusina dove si colla rami" e "le buse" che, allorchè decise di andarvi "per entro", gli susciteranno l'apparizione spettrale di "uno maestro chiamato Sboicer, todesco, con una barba lunga"; e saranno, poi, secoli di sfruttamento che vedono il succedersi, ad organizzarlo e gestirlo, della Serenissima, dei Governi napoleonico ed austriaco, del Regno d'Italia, di privati imprenditori, tra
disastri di fuoco e d'acque e ammodernamenti finalizzati sovrattutto a spremere dalle viscere dei monti tutto quanto in metallo potevano dare.

Nel corso degli anni Cinquanta, Murer torna e ritorna sulla gente delle miniere agordine (ma vi irrompe, ad un certo momento, quello della tragedia di Marcinelle), fissandone i tratti duri e scavati dei visi, gli occhi smarriti, le grosse mani, le spalle robuste e curve, in straordinari saggi grafici non necessariamente preparatori di sculture e rilievi, ma finiti in se stessi, come "tragitti del segno - giusta la lettura efficacissima di Giuseppe Mazzariol - sulla virtualità spaziale del foglio, che è destinata a farsi azione e tensione di masse plastiche, alternanze di luce e di tenebre, di noto o esplicito e di oscuro, minaccioso, incombente che è nell'implicito, nel non chiarito, definito". I richiami, allora, alle "mondine" di Tono, ove pur hanno qualche legittimità, valgono, comunque, solo sino ad un certo punto, così come quelli, risalendo "per li rami", ai "mangiatori di patate" di Van Gogh (e sarebbe, forse, il caso di domandarsi con maggior pertinenza se ad Augusto fosse capitato di veder cose - la grande retrospettiva berlinese del 1951 ebbe notevole risonanza anche in Italia - di quella Käthe Kollwitz la quale, nell'ultima pagina del suo Tagebuch, aveva riportato le parole di Goethe che anche lui avrebbe sottoscritto: "Ich bin aus die Wahrheit der f?nf Sinne": "sono per la verità dei cinque sensi". Il fatto si è che, già in codeste prove straordinarie, "Murer ( le conclusioni sono di Franco Solmi, ed è il caso di riportarle nell'interezza), e per effetto di frequentazioni, e per stravolgimento del senso critico allora ancorato forse più che ai nostri giorni a classificazioni sbrigative, fu inserito nelle caselle del neorealismo, e questo proprio negli anni in cui una più avvertita coscienza fenomenologica dava vita, nella Milano di Banfi, alle prime manifestazioni del realismo esistenziale ove il significato di impero in arte si dilatava ben oltre i confini del contenutismo. Un atteggiamento meno distratto avrebbe verificato in Murer non certo le angosce esistenziali proprie dell'uomo rattrappito nella gabbia urbana, ma un afflato potente, civilissimo che lo conduceva a escursioni plastiche e poetiche ben più ampie di quelle consentite dagli angusti spazi neorealistici". Ma, ad alimentarlo, non è solo - ovviamente - "la magia misteriosa" dei "boschi profondi, e le montagne" "in cui - è l'artista stesso, come abbiamo visto, a confessarlo - radici, tronchi e pietre si confondono in un groviglio che corrisponde quasi all'alba della creazione" e si agitano "tutte le altre forme di vita": è anche - e sarei
per dire sovrattutto - una lezione precoce e di forza irreversibile che, sin dal 1963, un raffinato (e oggi un po' dimenticato) poeta, Diego Valeri, aveva colto. "Murer - scriveva - viene da Martini" e, anzi - aggiungeva - "meglio sarà dire che Murer è l'unico allievo di Martini che in qualche modo, o meglio a suo modo, continui il maestro": anche quando, vorrei enfatizzare, si misura con la grafica.
Piacerebbe, in realtà, saperne ben di più intorno al breve, e pur tanto fecondo, sodalizio veneziano con il grande scultore; e si sa solo, invece, che fu nel 1943 quando, determinato a seguir i corsi di Martini all'Accademia, era sceso tra le Lagune e, impedito per ragioni che non son chiare di frequentarli, era stato, tuttavia, scelto dal Maestro in qualità di aiuto nel suo studio, ch'era nella casa di proprietà Velluti, al numero 46 di Dorsoduro in calle dello Squero, presso la punta della Dogana, dove Martini si era trasferito da Rosà sin dal novembre 1942 proprio per svolgere l'attività didattica. Pochi mesi, dunque: verisimilmente, la primavera del 1943, giacchè è molto probabile che Augusto sia tornato subito dopo il 25 luglio e per certo all'indomani dell'8 settembre, alle sue montagne: ma, per dir così, mesi di fuoco. Se, nelle lezioni, Martini, a quanto pare (gli appunti preparatori sono stati distrutti da Luigi Tito su ordine del Maestro stesso, e con essi, chissà, qualche eventuale accenno a Murer), insisteva sulla questione dell'ombra costruttiva movendo dalla teoria delle "forme fisiologiche" di Deluigi per scartarne tuttavia le conclusioni (e ciò sta nell'origine della rottura lacerante con l'amico pittore) - Nico Stringa ha ricostruito in maniera esemplare codesta, drammatica fase -, tra le pareti dello studio alla Dogana si poneva drammatiche domande sulla "scultura lingua morta" arrovellandosi sulla suggestione della Guernica picassiana intorno alla interpenetrazione dinamica delle forme plastiche nello spazio come "trampolino per il grande salto nella modernità". Son i giorni in cui plasmava la Cavalla che allatta, ora nel Museo civico di Vicenza, o l'Atmosfera di una testa, ora nel Museo del paesaggio di Verbania Pallanza: ma sono i giorni, in ispecie, della sfida estenuante del Pegaso caduto, il cui bozzetto è stato recentemente acquistato dalla Banca Popolare di Vicenza, sebbene confidasse poco dopo, a Gino Scarpa che "il disegno è una bravura, un sovrappiù, che non serve mai a niente, muore sempre come disegno", Martini, cerca il rapporto dialettico nelle convulsione delle forme, naturali e umane, anche tracciando peripezie di segni su fogli a buon diritto segnalati da Neri Pozza che, in quegli stessi giorni - con Carlo Scarpa -, fu vicino al
Maestro e partecipe del suo dramma. Testimone appartato e muto, ma attento sino allo spasimo, il ragazzo sceso da Falcade, apprendeva la lezione del confronto che l'artista deve stabilire con la materia per sprigionarne la forma immaginata dalla propria fantasia. Non "rifarà" mai Martini (anche se una china del 1955 e un carboncino del 1957 con La morte del cervo sembrano rivisitare Picasso nella memori indelebile dei tormenti grafici martiniani per il Pegaso), ma ne aveva carpito il segreto. E aveva imparato a sapere (come lo sapevano il suo Maestro, e il Canova, ), e da "realista profondo", la sofferenza del processo, e la complessità del processo, che possa trarre, e rappresentare nell'assoluto delle immagini, il "dramma dell'essere universale".

Nei disegni delle miniere, - esposti adesso, per la prima volta, nello stesso ambiente piranesiano della miniera - v'è, tutto e sicuro, il presagio dell' "insonne batalla" dell'"arquitecto real ", cantato da Rafael Alberti; della fiamma che fa "enceder al aire las raices mas oscuras, los huesos de sconosidos, verdad y fantasia".



LIONELLO PUPPI

RIUNIONE IN MINIERA
RIUNIONE IN MINIERA
- 1950 -
carboncino su carta intelata
cm 66x48


RIUNIONE IN MINIERA
RIUNIONE IN MINIERA
- 1951 -
china
cm 47,5x31


I MINATORI DELL'AGORDINO
- 1955 -
tempera e china
cm 70x50


I MINATORI DELL'AGORDINO
- 1955 -
china
cm 43,5x 34,5


I MINATORI DELL'AGORDINO
- 1955 -
china
cm 29,6x20,9


IL GRISU'
- 1953 -
matita
cm 47x33


minatore
MINATORE
- 1952 -
china
cm 50x37


DIMOSTRANTE CADUTO
- 1953 -
china, cm 28,5x21


RIUNIONE IN MINIERA
- 1952 -
carboncino e matita
cm 49,5x35


RIUNIONE IN MINIERA
- 1952 -
xilografia
cm 49,5x35



RIUNIONE IN MINIERA
- 1955 -
china
cm 43,5x34,5


RIUNIONE IN MINIERA
- 1955 -
china
cm 50x37


RIUNIONE IN MINIERA
- 1955 -
xilografia
cm 50x37


IL RIPOSO DEL MINATORE
- 1953 -
carboncino
cm 29,5x21


TURNO IN MINIERA
- 1955 -
xilografia
cm 42x23 (parte disegnata)
cm 50x70 (foglio)



 

UOMO CHE CAMMINA NELLA NEVE
- 1979 -
Legno olivo
cm 200x70x85

Au mois d'avril 1953, Augusto Murer expose à la Galerie Cairola de Milan : c'est un événement sans précédent dans sa carrière d'artiste et d'homme. En fait, il se fait connaître en dehors de son territoire, la Vénétie, à laquelle sa production avait été reléguée (quelques expositions à Falcade en 1949 et 1951 ; une autre à Trieste dans la salle d'art Rossoni aux mois d'avril et mai 1952 avec Pasquale Kirschan, qui en tant que critique d'art avait souligné dans un article paru dans le quotidien Gazzettino le talent de "ce grand travailleur du bois"). Tout cela eut lieu le jour suivant le signal constitué par le succès, aux Olympiades culturelles de la Jeunesse de 1952, de son œuvre d'art Les rédempteurs de la terre, décrété par un jury dont les membres étaient entre autres De Grada, Maltese, Casorati et Lioncillo. Mais cela ne suffit pas: du moment que dans le milieu vivace et prestigieux de via della Spiga , encore imprégné des humeurs du courant artistique de l'époque, "on ne rencontrait que les noms les plus importants des arts figuratifs", Murer put établir un dialogue direct et ouvert avec Gabriele Mucchi, Aligi Sassu, Tono Zancanaro, Renato Guttuso et Ernesto Treccani ainsi que les critiques d'art Mario De Micheli et Raffaele De Grada. Il s'agit de personnages qui, comme De Grada a rappelé en introduisant la mémorable exposition de Ferrare (1960) sur "Le renouveau de l'art en Italie, 1930-1945", étaient convaincus de la nécessité d'un "saut de qualité entre l'art de contemplation et l'art de participation et en second lieu de lutte". Ainsi ils avaient compris que "si les termes de rapport civil ne changeaient pas, eux non plus ne pouvaient pas gagner la liberté dans l'autonomie de l'art, entourée par l'esclavage de tous". En plus ils avaient fait de la "lutte pour la liberté, le moteur du procès artistique", en en recueillant l'impulsion "à connaître le visage de l'homme, dans une nature qui commence elle aussi à participer au drame". Et toutes ces figures avaient pris part à la Résistance et en avaient donné un témoignage visuel touchant. Il s'agissait d'expériences qui, du moins sur un plan existentiel, les unissaient à Augusto Murer qui, même s'il était plus jeune qu'eux (seul Treccani avait à peu près son âge), avait combattu comme partisan dans les montagnes autour de Falcade, son village natal, dans ces "forêts", pour citer ses propres mots, "dans lesquelles les racines, les troncs et les pierres se confondent dans un enchevêtrement qui correspond presque à l'aube de la création". Il voyait "dans les troncs […..] toutes les autres formes de vie s'agiter, avec leurs noeuds nerveux, leurs veines riches en sève et sang, leurs mains tendues vers le haut avec un désir ardent de liberté". Et, chaque fois qu'il jouissait d'un moment de repos et de tranquillité, appuyé au tronc d'un vieux sapin, il remplissait ses cahiers de dessins, en représentant les visages et les gestes des camarades de lutte. Puis il les publiait dans les journaux polycopiés de la Division Garibaldi, en signant Artista della Brigata, que lui-même avait emprunté aux frères Emilio et Giacomo Fenti, morts en août 1944 en combattant contre les nazis à Caviola. Leur soeur deviendra plus tard l'épouse d'Augusto Murer, après avoir posé comme modèle pour les premiers visages de femme qu'il a sculptés.
Dans le milieu favorable de la Galerie Cairola qui, en lui ouvrant ses portes lors de la diatribe enflammée de cette période entre les paladins du formalisme abstrait et ceux du réalisme, l'enrôlait inévitablement au nombre de ces derniers, Murer trouve tout de suite dans la personne de Tono Zancanaro un interlocuteur privilégié (destiné à devenir un de ses amis plus fidèles ; en effet leur amitié durera trente ans). Zancanaro était comme lui, un provincial obstiné, mais convaincu, et les faits démontreront avec le temps qu'il a eu raison, que l'on peut faire de l'art à un très haut niveau même en vivant en province. Et de la particularité de sa vie provinciale il a su traire une sève originale. C'est le moment où Tono était venu en contact avec les gens des rizières et ceux qui avaient un travail humble et fatigant. Et c'est à eux qu'il consacra son propre engagement, en pratiquant une poétique réaliste, libre et affranchie, au moment même où Augusto tourna son regard vers les gens des mines de la Vallée Imperina dans les alentours d'Agordo. L'entreprise Montecatini venait de les relever pour en relancer l'activité productive après quelques modernisations.
Le choix ne doit sembler ni un cas du hasard, ni un prétexte, vu qu'il se révélât être profondément motivé et tout à fait cohérent avec cette ardeur à "connaître le visage des hommes, dans une nature qui commence elle aussi à participer au drame". D'autant plus que cet élan existait déjà avant la rencontre de Murer avec les protagonistes du réalisme programmatique et appartenait irréversiblement à ceux qui avaient "choisi ", comme Mario Rigoni Stern l'a souligné avec grande finesse, "de vivre à la montagne […..], dans un village à l'intérieur d'une vallée [où] l'homme n'est pas foule mais tout de même le pauvre bougre" qui avec peine et labeur gagne son pain quotidien. Les personnes qui travaillaient durement et se cassaient le dos à force d'extraire du cuivre et de l'argent dans les profondeurs étouffantes de ces mines réitéraient un destin séculaire de damnés de la terre. Le tout avait commencé jadis et bien avant que le regard curieux de Marin Sanudo, en balade à travers le Domaine vénitien entre 1482 et 1483, ne croise "les Carbonare (mines de charbon) et la forge où l'on fond les cuivres" et le buse (les fournaises)" qui quand il decida d'y "entrer" suscitèrent en lui une apparition spectrale d'" un maître du nom de Sboicer, de nationalité allemande, avec une longue barbe". Ensuite il y eut des siècles d'exploitation qui virent la succession, en ce qui concerne son organisation et gestion, de la Sérénissime République, des Gouvernements napoléoniens et autrichiens, du Royaume d'Italie et d'entrepreneurs privés. Toute cette période fut couronnée par des calamités telles que des incendies, des inondations et des modernisations avec le but d'extraire des entrailles des montagnes tout le métal qu'elles pouvaient fournir.
Pendant les années 50, Murer retourne sans cesse à parler dans ses œuvres des gens des mines de l'Agordino (mais, tout d'un coup, la tragédie de Marcinelle fait irruption). Il fixe les traits durs et creux de leurs visages, leurs yeux en plein désarroi, les grosses mains, les épaules robustes et voûtées dans des essais graphiques pas nécessairement en vue de futures sculptures ou reliefs, mais comme un travail déjà terminé. Ces figures sont comme le " parcours du signe - pour citer l'interprétation correcte et très efficace de Giuseppe Mazzariol - le long de la virtualité spatiale de la feuille, qui est destinée à engager une action et une tension de masses plastiques, de jeux de lumière et ténèbres, de connu ou explicite et d'obscur, de menaçant, de dominant qui se trouve dans le monde implicite, dans des formes qui ne sont pas claires, voire indéfinies". Ensuite, le rappel des éplucheuses de riz de Tono Zancanaro, là où il serait légitime de percevoir quelques allusions, ainsi que les références aux mangeurs de pommes de terre de Van Gogh remontant jusqu' aux cuivres. Ce serait peut-être le cas de se demander avec une majeure pertinence si Augusto avait eu l'occasion de voir les œuvres d'art de Käthe Kollwitz dont la grande rétrospective berlinoise de 1951 eut un considérable succès aussi en Italie. Kollwitz, dans la dernière page de son Tagebuch (journal intime), avait reporté les mots de Goethe qu'Augusto lui-même aurait souscrits: "Ich bin aus die Wahrheit der fünf Sinne (je suis pour la vérité des cinq sens)". Les faits démontrent que, déjà dans ces dessins extraordinaires, "Murer" (les commentaires conclusifs sont de Franco Olmi et il vaut la peine de les citer dans leur version intégrale),"soit en conséquence de ses fréquentations, soit pour un bouleversement du sens critique jadis enraciné, plus que de nos jours, dans des classifications hâtives, fut inséré dans le courant du néoréalisme. Cela se passa dans les années où une conscience phénoménologique plus vive donnait naissance, dans la Milan de Banfi, aux premières manifestations du réalisme existentiel où la signification d'empire dans les arts allait bien au-delà des limites du contenutisme. Une attitude moins distraite n'aurait certainement pas produit en Murer l'angoisse existentielle qui est propre de l'homme prisonnier dans la cage humaine, mais une inspiration forte et très civile qui le menaient à des excursions plastiques et poétiques bien plus vastes de celles permises par les espaces néoréalistes trop étroits". Mais, à alimenter ce souffle créatif, il n'y a pas seulement "la magie mystérieuse" des " grandes forêts et des montagnes" dans lesquelles - c'est l'artiste lui-même qui l'a confessé - "les racines, les troncs et les pierres se confondent dans un enchevêtrement qui correspond presque à l'aube de la création" et où s'agitent "toutes les autres formes de vie". C'est, et j'oserais dire surtout, une leçon précoce ayant une force inébranlable que Diego Valeri, poète raffiné et aujourd'hui tombé dans l'oubli, avait saisie, déjà à partir de 1963. "Murer", écrivait-il, "vient de l'école de Martini" et, ajoutait-il en outre, "il vaudrait mieux dire que Murer est le seul élève de Martini qui en un certain sens, ou plutôt à sa manière continue ce que son maître a fait". Cela vaut aussi, et j'aimerais le mettre en relief, lorsqu'il se mesure avec la graphique.
En fait, on aimerait bien en savoir davantage à propos de sa brève mais toutefois féconde collaboration vénitienne avec le grand sculpteur. On sait seulement que leur amitié a commencé en 1943, lorsque Murer prit la décision de suivre les cours de Martini à l'Académie des Beaux-Arts. Il avait quitté ses montagnes et avait rejoint les Lagunes. Mais pour des raisons inconnues on l'avait empêché de fréquenter les cours . Toutefois, il avait été choisi par le Maître en qualité d'assistant dans son atelier, situé Calle dello Squero au numéro 46 de Dorsoduro dans une maison qui appartenait à Velluti près de la punta della Dogana où Martini s'était installé pour exercer l'activité de professeur. Donc, leur rapport dura quelques mois, vraisemblablement jusqu'au printemps 1943, étant donné qu'Augusto est probablement retourné à la montagne immédiatement après le 25 juillet et sûrement le jour suivant le 8 septembre. Ce furent, certes, des mois frénétiques. Si, pendant les leçons (les notes ont été détruites par Luigi Tito sur ordre du Maître lui-même et avec elles une éventuelle allusion à Murer), Martini à ce qu'il paraît insistait sur la question de l'ombre constructive en partant de la théorie des "formes physiologiques" de Deluigi pour, toutefois, en écarter les conclusions (voilà la cause de la rupture déchirante avec son ami peintre et Nico Stringa a reconstruit d'une façon exemplaire cette phase dramatique), entre les parois de l'atelier près de la Dogana il se posait des questions à propos de la "sculpture langue morte". Il se tracassait aussi sur l'attrait de la Guernica de Picasso sous forme d'interpénétration dynamique des formes plastiques dans l'espace comme "tremplin pour le grand saut vers la modernité". C'est la période pendant laquelle il modelait la Jument qui allaite, maintenant au Musée civique de Vicence, ou l'Atmosphère d'une tête, au Musée du paysage de Verbania Pallanza. Mais ce sont aussi les jours du défi exténuant du Pégase tombé, dont la maquette a été récemment acheté par la Banque Populaire de Vicence, quoiqu' il confiât peu de temps après à Gina Scarpa que "le dessin est une habileté, un surplus qui ne sert à rien, il meurt toujours en tant que dessin". Martini cherche le rapport dialectique dans les convulsions des formes, naturelles et humaines, même en ébauchant des péripéties de signes sur des feuilles à juste titre signalées par Neri Pozza qui en ce temps-là fut au côté du Maître en prenant part avec Carlo Scarpa à son drame. Témoin détaché et muet, mais attentif au moindre détail, le jeune homme venu de Falcade, apprenait la leçon de la comparaison que l'artiste doit établir avec la matière pour en libérer la forme imaginé par la propre fantaisie. Il n'imitera jamais Martini (même si un dessin à l'encre de Chine de 1955 et un dessin au fusain de 1957 La mort du cerf semblent revisiter Picasso rappelant les tourments graphiques martiniens pour Pégase) même s'il en avait saisi le secret. Et il avait appris à connaître - comme son Maître et Canova - en tant que "profond réaliste" la souffrance et la complexité du procès qui pouvait donner naissance et représenter dans l'absolu des images le "drame de l'être universel".
Dans les dessins des mines, en exposition en ce moment, pour la première fois dans le même milieu des mines de Piranesi, il y a sans aucun doute, le présage de l' "insonne batalla" de l'"arquitecto real" chanté par Rafael Alberti ; le présage de cette flamme qui fait "enceder al aire las raices mas oscuras, los huesos de sconosidos, verdad y fantasia."


LIONELLO PUPPI